sabato 30 aprile 2011

LA SCOMPARSA DELL'EREBUS di Dan Simmons



Il nuovo mostro di Simmons scatena autentico terrore

L'horror moderno ha un disperato bisogno di originalità e di mostri inediti, che escano dalla routine e dagli schemi degli ormai abusati vampiri, zombi e licantropi. L'incomparabile Dan Simmons lo sa bene: e infatti si industria per offrire ai suoi lettori idee sempre nuove, sconcertanti ed imprevedibili. I suoi romanzi horror sono inusuali e l'autore si diverte a mescolare generi e letterature.

In questo suo ennesimo capolavoro riesce a far coesistere da una parte il romanzo storico e quello avventuroso, con un sapiente distillato di Conrad e Melville, di Borroughs e Verne, di Conan Doyle e Salgari, e dall'altra parte il racconto horror e surreale, racchiudendo tutta quanta questa esplosiva miscela in un'inattaccabile griglia di nozioni storiche autentiche, accuratamente raccolte e documentate.



I suoi libri sono sempre costruiti su informazioni seriamente verificate e su approfondite nozioni storiche e geografiche, segnale di un complesso lavoro di ricerca e di preparazione, allestito con cura maniacale, prima di scrivere il racconto con la sua consueta profondità lessicale.



Un romanzo di Simmons non è mai una lettura banale, una frivola parentesi per la pura evasione. Al contrario, lo spessore culturale manifestato dall'autore, lontano dal ridursi ad uno sterile sfoggio di sapienza, costituisce sempre ragione di particolare impegno per il lettore, cui non è consentito abbandonarsi alla trascinante narrazione, ma che deve restare vigile lungo il tracciato per non perdersi in esso.



LA SCOMPARSA DELL'EREBUS non sfugge a queste regole.


Va detto che la traduzione del titolo è suggestiva, ma fuorviante, rispetto all'originale THE TERROR, che allude ambiguamente sia al nome della nave da esplorazione al centro della vicenda (che non è certo l'ammiraglia Erebus), sia all'omonima emozione che imprigiona, non meno del freddo artico, gli sfortunati esploratori dell'equipaggio.



Il romanziere propone prima di tutto un'istruttiva e approfondita ricostruzione della vita dei marinai britannici del 1845, dei loro viaggi eroici nell'inospitale Nord per trovare il leggendario "Passaggio a Nord Ovest", e poi si cura, in particolare, di raccontare le traversie dalle conseguenze disastrose della spedizione perduta delle navi Erebus e Terror, guidate da sir John Franklin.


Approfittando degli spazi lasciati liberi dalla storia e inghiottiti per sempre da quei territori inospitali, Simmons utilizza i fatti così accuratamente assemblati come trampolino di lancio per proiettare nel nostro immaginario un nuovo, terrificante mostro, un incubo del tutto inedito nella narrativa horror, che con le sue imprevedibili aggressioni assassine, con la sua presenza dissimulata dal buio della notte artica, si candida (al parti del famoso "Shrike" di HYPERION) a riapparire negli incubi futuri del lettore.


Un grande romanzo di avventura, fantasy e horror di quelli che appaiono sporadicamente in un intero decennio. Meriterebbe un'accurata trasposizione in qualche eccellente miniserie televisiva.

L'ISOLA DI SUKKWANN di David Vann



Una sconvolgente discesa agli inferi


Un libro è grande anche quando racconta cose brutte. Quello che si legge sulla copertina del libro non lascia immaginare quanto siano sconvolgenti e shoccanti gli sviluppi di questo romanzo, tanto ammirevole quanto difficile da affrontare.


L'autore usa uno stile asciutto, stringato, bruciante nella sua rude semplicità e schiettezza, che fa davvero pensare a Cormac McCarthy, come suggeriscono i recensori, anche se la prosa è meno introversa e allusiva di quella dell'autore di LA STRADA (e quindi, anche per questo, decisamente più lineare e scorrevole). Come nel capolavoro LA STRADA, anche in questo libro assistiamo ad un rapporto tra padre e figlio, in un ambiente desolato e governato dalle severe regole della natura selvaggia. Ma stavolta si tratta di un rapporto antitetico a quello descritto da McCarthy. Là c’era un padre che considera il proprio figlio l'incarnazione stessa della speranza e quindi non esita a sacrificare sè stesso per garantirgli la sopravvivenza, qui c’è un padre che considera il figlio come uno mero strumento cui aggrapparsi per garantirsi la propria, di sopravvivenza, uno spettatore muto della sua disperazione, fino ad arriva a soffocarne l'esistenza, ad intrappolarlo in una gabbia di sconforto senza vie d'uscita.


Qualcuno vi troverà anche qualche reminiscenze del bellissimo LA COSTA DELLE ZANZARE di Paul Theroux, altro eccezionale aplogo di un rapporto padre / figlio, in cui si racconta dell'indimenticabile inventore Charlie Fox, che vuole ridefinire il destino della propria famiglia spingendola in terre estreme, all'inseguimento di un sogno illusorio, spinto da sotterranee pulsioni autodistruttive.


Il romanzo di David Vann è sostanzialmente diviso in due. Nella prima parte la vicenda è narrata dal punto di vista del tredicenne Roy: attraverso il suo sguardo sgomento e preoccupato ci viene progressivamente presentato il personaggio del padre Jim, un uomo frustrato, depresso, inetto, egoista e incline all'autocommiserazione, il quale, nonostante la sua fondamentale incapacità nel gestire e organizzare alcunché, propone (o meglio, impone) al figlio di trascorrere un anno intero su un'isola deserta, lontani dalla civiltà, allo scopo di rigenerarsi a contatto con le forze di una natura difficile ed ostile, e con il proposito di ricostruire un rapporto che è venuto meno dopo che l'uomo ha divorziato dalla madre del ragazzo.


Scopriamo che in realtà Roy ha aderito suo malgrado al progetto del padre, per soddisfare un'inconscia esigenza del genitore che egli non è sicuro di comprendere, ma soprattutto per l'incoffessata paura che il padre, che ha già dato prova di debolezza e di instabilità emotiva, di fronte ad un suo rifiuto ed immerso nella solitudine di quel forzato isolamento, possa arrivare a commettere un gesto irreparabile.


Nella seconda metà del romanzo, di fronte ad uno sviluppo imprevedibile e sconcertante che spezza letteralmente in due la trama del libro, le vicende sono narrate dal punto di vista ossessivo e maniacale di Jim, e da questo momento l'autore lascia emergere quale sia la vera sostanza del progetto dell'uomo, sconfitto dall'inesauribile mosaico di fallimenti della sua esistenza, alla disperata ricerca di una stima di sè che ormai non merita più, di un riscatto per il proprio orgoglio.


David Vann ci accompagna, con un coraggio intellettuale sbalorditivo, giù, verso l'inferno personale in cui si cala la psiche del protagonista, sconcertante esempio di un'umanità fallita, diseducata al dovere, alla responsabilità, all'altruismo, alla dedizione e al sacrificio. Ci vuole grande coraggio per scrivere una storia tanto terribile, estrema e priva di vie d’uscita. Una lettura indimenticabile proprio perchè dolorosa, estrema, lacerante, capace di ferire la sensibilità del lettore non meno di quanto abbia ferito l'animo dell'autore il suicidio del padre, evento che ha ispirato il romanziere a scrivere il libro.


Un romanzo da affrontare ben sapendo che vi sono descritte situazioni di una drammaticità inusuale, a tratti insostenibile. Cionondimeno dobbiamo renderci conto che un libro non deve necessariamente edificare per essere reputato un capolavoro. E questo romanzo, mi sento di dirlo, lo è.